Sembravano solo storie...

Sembravano solo storie...

Lei le raccontava del periodo della guerra, del senso di fame e di precarietà, del suono improvviso delle sirene, della corsa verso i rifugi e di una gioventù con i sogni infranti. Storie lontane, chiuse, dimenticate quasi: questo sembravano quei racconti se non fosse stato per il fatto che a lei, a quella signora - a dire il vero un po’ petulante, ma che in fondo le faceva tenerezza con la sua perenne fragilità e quei suoi capelli che iniziavano a diventare bianchi - era rimasta la paura della fame per cui la sua spesa alimentare, negli anni del benessere, non era mai proporzionata allo spazio dei pensili delle cucine all’americana, in case senza più dispense né soffitte.

“Ma dove la mettiamo tutta questa pasta, e questa farina e questo zucchero?” “Non ti preoccupare, troveremo un posto, una casa non è una casa senza un po’ di provviste!” E va bene, ammassiamo pure, se questo ti fa stare tranquilla, le diceva con condiscendenza senza capire fino in fondo da dove nascesse quel bisogno di pienezza, quella sensazione di sicurezza data dall’abbondanza che la trasformava, togliendole dal viso l’ansia e regalandole uno sguardo compiaciuto.

Poi, se ne andava a spiegare la peste del 1300, le sue cause, i suoi veicoli, lo smarrimento di chi guardava la morte attraverso i corpi accatastati e vinti dal male, cadaveri pronti a diventare un rogo orrendo, privati della sepoltura, senza una croce, senza un segno di riconoscimento. Qui giace… nessuno, qui giace la morte! Persino l’arte, diceva, risentiva di quel clima e lei faceva vedere un dipinto con la nera signora che con la sua fida falce avanzava trionfante.

Su, ragazzi, sorridete, diceva a quel punto, vedendo i suoi alunni smarriti e con gli occhi spauriti come se quella nera signora con la sua fida falce potesse veramente toccarli e li rincuorava dicendo “sono solo storie”. l’Europa, continuava, alla fine ne uscì rinvigorita, con una nuova generazione più forte e più sana - si sa, nelle epidemie muoiono soprattutto i più deboli, gli anziani, i malati - che rimise a coltura i terreni, riprese a commerciare e abbandonò anche nella pittura il nero per dare spazio agli ocra e ai rossi e agli azzurri e addirittura regalò alle immagini il movimento. Che meraviglia l’angelo dell’annunciazione che plana dolcemente accompagnato dalle pieghe delle sue vesti, quasi un contorno alle ali.

I ragazzi finalmente sorridono, l’ombra nera della morte è andata via e la vita di nuovo trionfa. Anche lei sorride, pensando che “sono solo storie”, storie passate, come la paura della fame, come il suono delle sirene, come i bombardamenti. Lei spesso sorrideva, magari di un sorriso velata dalla malinconia, ma comunque sorrideva, anche perché motivi per cui sorridere ne aveva: aveva persone e animali da amore, aveva un giardino da far fiorire, aveva affrontato prove, superato i tormenti giovanili perché non è vero che i vent’anni sono l’età più bella, sconfitto insicurezze e ansia da prestazione, elaborato il lutto della perdita dei genitori, degli amici, dei compagni e pure dei grandi ideali.

Chiedeva alla vita solo una manciata di anni ancora per godere di questa serenità conquistata. Ma la vita non ascolta quasi mai le suppliche, non esaudisce quasi mai i desideri, non ti garantisce di farti vedere di nuovo le viole fiorire, va dritta per il sentiero che essa stessa ha tracciato e sposta i sassi lanciandoli addosso alle comparse di questo attimo strappato all’ eternità che siamo noi umani.

Già, noi umani, ancora e nonostante tutto, siamo quello scimmione che brandiva un osso, come se fosse una clava, urlando contro il cielo, ancora e nonostante tutto siamo quel bipede incerto che, dopo aver faticosamente guadagnato la posizione eretta, si guarda intorno ed ha paura, della sua finitudine, della sua fragilità, della sua impotenza.

Come tutti noi, oggi, travolti dal dolore di un’umanità che muore in ogni parte del mondo, che muore sui barconi, che muore per uno stupido virus. Ammassiamo ancora cibo, accaparriamoci disinfettante e annulliamo gli abbracci, i baci, guardiamoci da lontano, vedendo nell’altro l’untore, per esorcizzare la morte che ci è da presso.

Lei, quella che spiegava la peste del 1300, non riesce più a consolare, a consolarsi, vorrebbe solo stringersi forte a quella signora un po’ petulante, ma non può, come nel gioco degli specchi è diventata lei stessa e in silenzio urla, per il dolore e la rabbia.

Anna De Vincenti

 


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