I libri non cadono lontano dall'autore

I libri non cadono lontano dall'autore

La prigione di carta ha uno stile elegante ed una costruzione perfetta che porta il segno di una vasta cultura vissuta, della capacità innata ed allenata di lavorare bene e per obiettivi importanti. È il racconto di una non troppo futura battaglia per un ideale di libertà che, come sempre, subisce una ingiusta coercizione. E ci si potrebbe fermare qui. Se un libro si sfogliasse senza leggerlo. L'autore sa che di lui s'è detto e si dirà tanto e bene, su media importanti a firma di persone con grande esperienza di critica letteraria. E che l'editore ha realizzato un video da sceneggiatura che lascia sperare in un'ottima trasposizione cinematografica della sua storia.

E magari, in questo eventuale sviluppo, ci sarà spazio anche per il dramma crudo della realtà carceraria che nel libro si intravede con delicatezza, quasi a non voler coprire, con il suo insopportabile orrore quotidiano, il continuo esercizio di libertà del protagonista, strenuamente impegnato nel difendere dall'oblio ciò che resta della sua vita interiore. I personaggi del libro sono tutti filtrati dallo sguardo limpido di Malcom King, il giovane docente afroamericano condannato all'ergastolo per aver difeso la coesistenza della cultura analogica e di carta e penna nell'avanzata di una digitalizzazione massiva, passivamente accolta. E tutti, anche quelli socialmente peggiori, stimolano il suo desiderio di trarre il buono dove è invisibile, di suscitare possibilità anche nell'impossibile di un luogo e di una circostanza in cui tutto è schiacciato, offeso, spento.

Malcom King intuisce bene il male che lo circonda, ma non se ne lascia contaminare e riesce a salvare qualcosa anche da ciascuno dei suoi compagni di viaggio, in un continuo esercizio che, nell'apnea del fango putrido quotidiano degli ambienti e delle relazioni, ruba con straordinaria costanza un attimo di purezza, forza, speranza. Nelle descrizioni dei giovanissimi studenti, della ragazza che incrocia ogni giorno andando a lavoro, nelle flessioni con cui recupera le mortificazioni atroci di un corpo in prigione, nel far sue le leggi assurde della convivenza carceraria incuneandosi nelle impercettibili fessure d'umanita dei suoi aguzzini per suggerne un attimo di ristoro, come fa una farfalla in un barattolo in cui cade un fiore appassito con quel po' di polline residuo, riuscendo a nutrire con poco un'anima ormai allenata alla carestia. Fin qui la prima lettura, veloce, di un buon libro.

Nella seconda lettura si acquisiscono altri elementi ed appare sempre più chiaro che il luogo in cui in realtà è ambientato il romanzo non è geografico, ma intimo: è il professor King stesso, ovvero l'archetipo d'un idealista non violento e determinato a lottare per ciò che crede vero e giusto, pur finendo per essere, agli occhi dei più, uno sconfitto. King può essere chiunque, in ogni tempo. Questo lancia un messaggio di senso anch'esso universale che può davvero spiegare perché, in una società manovrabile e pigra, la sua battaglia innocente e disarmata gli costi la condanna a vita. E potrebbe bastare così, se...

Il libro è di chi lo legge, anche più volte. I personaggi in questo modo hanno il tempo di raccontare al lettore cose che non hanno detto allo scrittore emancipandosi, come figli dal genitore. Così, alla terza rilettura, quella che di tradizione precede l'ingresso di un nuovo acquisto nella mia libreria, il professor King mi ha suscitato riflessioni che superano l'evidenza della lotta per un ideale di libertà dedicato alla sopravvivenza ed alla custodia del patrimonio cartaceo universale, editoriale e non. E mi ha reso evidente anche l'errore magistrale commesso dai giudici che l'hanno condannato: se l'avessero chiuso in una stanza, pur comoda, solo con un computer forse non ce l'avrebbe fatta, ma l'hanno lasciato con la sua carne viva e sporca e con la possibilità d'avere carta e penna. Cioè con la sua condanna e la sua salvezza: la passione, la cosciente e cruda passione per la libertà delle cose vere, tangibili, sacre, vive.

E racconta un'altra storia, più intima, di un uomo che imprigiona i suoi sogni infranti per poter essere davvero libero. La prigione di carta è quella in cui Malcom King sigilla la sua vita di uomo, docente, amico, sposo e padre, quella dalla quale è molto più difficile e doloroso evadere. E lo fa, appunto, scrivendo con carta e penna. È importante sentire il fruscio della carta. Lo sanno bene i programmatori. Infatti l'hanno messo a corredo del cestino informatico, quando butti dentro un file. È la voce dell'errore, dello scarto, dell'eliminare. Cose, luoghi, idee, persone. Nel mondo digitale si nasce e si muore in silenzio. Nel mondo di carta il dolore e la gioia hanno il suono di inchiostro vergato, battuto, cancellato, sbavato, graffiato fino a bucare il foglio.

I fogli digitali non si bucano, le scritte, se piangi, non sbavano, se ridi non tremano. Ed il cestino virtuale è un inganno: se tu ripeschi il file che hai buttato lo trovi intatto, riutilizzabile. Invece ciò che si scarta nella vita analogica porta i segni dell'accartocciamento, degli strappi. Va stirato, ricomposto e non sarà mai più come prima. La digitalizzazione toglie la responsabilità dell'errore, della scelta. Lascia immaginare recuperabile, modificabile, sempre e comunque, ciò che in realtà non lo è. Il lavoro fiorisce in digitale. Il foglio elettronico è retroilluminato e pronto. Si possono scegliere modelli, stili, font e correzioni. Fare calcoli improponibili in tempi non umani.

Presentare progetti utopici come veri, elaborare pensieri impensabili e programmare gli impegni del mondo perché si incastrino con guadagni e successo e strategie di guerre e potere. La vita invece fiorisce nella carta. La carta è povera, inerme, degradabile e vera. La vita è di carta: fragile, sgualcita, a volte così buia da non riuscire a scrivere dritto e leggibile. Fogli di grana diversa, diversa grammatura, diverso odore. Matite, penne più o meno indelebili, colori. Spillette per tenere insieme ciò che, spargendosi, rischia di perdersi.

I fogli di carta, al vento, si sparpagliano in vortici. Parafrasando due momenti molto forti del romanzo, potremmo dire che cadono dalle finestre come corpi abbandonati, arrivano in faccia come schiaffi attesi a ricordare chi siamo. La passione scompiglia, ricrea. La vita è un'entropia che sfugge all'ordine del mondo digitale. Permette di sognare stabilità affettive, lavorative e intime là dove tutto crolla. La gabbia dolorosa della parola pensata, scritta e quindi possibile, culla la speranza in un mondo più giusto e libero ed equo.

Permette di cancellare e riscrivere l'inganno d'una vita perfetta. Con l'inchiostro color sangue del desiderio, del sogno. Che fa rumore, nel silenzio creante dell'io, unico e irripetibile come nessun digitale potrà mai essere. Perché il pensiero non ha bisogno d'altro impulso elettrico che quello dei neuroni ed inizia a vivere proprio quando si stacca la spina. Quando, nella prigione della nostra esistenza, siamo privati di tutto. Quando resta solo ciò che, dentro noi, è diventato noi, il nostro senso: amare. La vita, il lavoro, le persone, la storia. Niente è amore perché tutto è amore, scrive il professor King.

Questa è la materia che non si può smaterializzare, la forza incoercibile della vita. Anche alla fine del libro, dove tutto si capovolge. Resta, intatto, il senso. Niente è amore perché tutto è amore. Andrebbe scritto ovunque perché chiunque possa leggerlo. Magari anche su un foglio dimenticato in biblioteca o al supermercato, in una riunione d'affari o di condominio, un laboratorio di scienze o di teatro, un mercato o una gioielleria e perché no? un carcere.

Magari quello che ci costruiamo con le nostre mani quando chiudiamo, nelle prigioni delle strutture sociali cui preferiamo uniformarci per non reggere alcun dissenso, la nostra e altrui libertà di trasformare sé stessi e il mondo. Ed è così che alla fine, dalla lettura del libro, resta un messaggio scomodo, un amaro, indelegabile compito: insegnare, testimoniando, ai nostri figli, non necessariamente biologici, a costruire e (ri)costruire prigioni di carta per ogni "niente" che rende la vita degna e piena, a strappare le pagine, a mettere al centro l'uomo e i suoi diritti, a bucare il foglio, a tremare di passione, a vivere di senso e non di consenso.

Recensione inviata da Loredana Gaudio

 

La prigione di carta - Marco Onnembo - Sperling & Kupfer, 2020

 

 


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