Paolo Guzzanti: “Mani Pulite? Un colpo di stato a favore del Pci”

Paolo Guzzanti: “Mani Pulite? Un colpo di stato a favore del Pci”

Giornalista, uomo politico, saggista, conduttore del programma televisivo “Bar Condicio” nei ruggenti anni Novanta, due figli (Corrado e Sabina) che lavorano anch’essi in tv, Paolo Guzzanti è una penna corrosiva, acuta, diretta e i suoi articoli sono sempre il classico “pezzo” che non puoi non leggere. E’ stato anche attore a teatro, diretto, da Francesco Sala ed è stato in scena con la sua stand up comedy.

Pochi giorni fa era il trentesimo del crollo del Muro di Berlino e fra pochi giorni ricorrerà il cinquantesimo dell’eccidio di Piazza Fontana a Milano. Misteri e tragedie italiane, di cui Paolo Guzzanti, giornalista di lungo corso, ha vissuto. A proposito di misteri e storia italiani, il “Paolone” nazionale ci aveva raccontato questioni storico politiche misconosciute al grosso pubblico legate essenzialmente alla stagione del terrorismo e della cosiddetta Tangentopoli: segreti svelati? Misteri risolti? Non proprio, ma Paolo Guzzanti ha nuovamente buttato lì un paio di ipotesi storico interpretative relative allo stato di grazia di cui godette l’Italia negli anni del terrorismo mediorientale. E anche una rivelazione sulla vera nascita di tangentopoli: in questa intervista OFF di Bruno Giurato ci racconta che cosa è stata veramente “mani Pulite”.(Redazione)

“Ci sono tre mestieri che ti permettono di diventare un altro: il giornalista, lo psicanalista e l’attore. Il giornalista diventa l’intervistato, lo psicanalista diventa il paziente, l’attore diventa il personaggio” E lui, Paolo Guzzanti, a settant’anni ha deciso di spostarsi dal ruolo di giornalista (penna elegante e all’occorrenza feroce di Repubblica, poi de La Stampa, ora de Il Giornale) a quello di attore. Lo era sempre stato, un po’. C’è più che un sospetto che il primo motore del talento dei figli, Sabina, Corrado, Caterina, sia lui.

Le sue imitazioni sono memorabili, il suo Pertini ha ingannato Renzo Arbore in una celebre diretta Rai, e una serie di personalità istituzionali, in scherzi al confine tra goliardia e sovversione carnascialesca. Paolo Guzzanti è arrivato a teatro davvero. Solo sul palcoscenico del Brancaccino a duettare con se stesso sul canovaccio dell’ autobiografia Senza più sognare il padre. Lo spettacolo si chiamava La ballata del prima e del dopo per la regia  di Francesco Sala.

“E’ uno spettacolo metà buffo e metà serio” ci ha raccontato Guzzanti, comincia con la mia intervista a Franco Evangelisti, ministro e uomo di Andreotti, quella di “A Fra che te serve”. Lui resta come voce di contrasto. E mi serve per fare un discorso sulla memoria. Evangelisti 13 anni prima di Tangentopoli aveva detto “qui abbiamo rubato tutti” Eppure tutta la faccenda fu insabbiata derubricandola a questione di “colore”, il romanesco, il “politico alla vaccinara” ecc ecc. Si doveva salvare il compromesso storico Andreotti-Berlinguer…” Conclude.

Succede ancora oggi? Quando leggiamo le fenomenologie sulla felpa di Salvini o sull’inglese di Renzi stiamo assistendo all’uso del “colore” a fini di distrazione?

Be’ certo, sono costruzioni di fondali scenografici. Si costruiscono personaggi. Anche se l’inglese di Renzi, bisogna dire, grida vendetta a Dio…

Sostanziale omogeneità della politica tra Prima, Seconda, Terza Repubblica?

“Seconda Repubblica”, come racconta il libro The Italian Guillotine di Stanton H. Burnett e Luca Mantovani  (mai tradotto in italiano), è stato un tentato colpo di stato che doveva concludersi con la vittoria di Occhetto. E lì fu la volta che Berlusconi è impazzito. Trovo l’espressione Seconda Repubblica ridicola, come Terza repubblica

Siamo ancora negli anni Sessanta, insomma

Mah, sì. Le persone sono sempre le stesse, quelle arrivate dopo fanno parte dei soliti potentati. Il carattere degli italiani sta tutto in Machiavelli, e anche in Pinocchio. Quale Prima e Seconda Repubblica….

Come è iniziata la sua carriera? Fu Giacomo Mancini a darle l’accesso alla professione giornalistica?

Ero socialista dai 17 anni. Nei primi anni 60 andai a lavorare senza essere pagato, al Punto della settimana. Settimanale fichissimo: ci scrivevano da Kennedy a Pietro Nenni. Poi andai a fare l’operaio tipografo, per quattro anni, all’Avanti. Poi finalmente mi assunsero. E nel ’72, con Mancini, andai a lavorare al Giornale di Calabria. Tre anni interessanti e anche devastanti. Poi conobbi Serena Rossetti, la compagna di Scalfari. Mi assunsero all’Espresso.

Ecco, Scalfari. Lei è stato un po’ il suo figlioccio…

Ammetto che gli devo tantissimo, e umanamente gli voglio ancora bene.

E’ un maestro di pensiero come si sente di essere, o è un viveur e inventore di giornali?

La seconda. Gli piace essere visto come un grande filosofo: e’ un uomo colto, che ha letto moltissimo, e ha letto bene. Come filosofo, però, non mi pare sia memorabile.

Lei è stato a contatto molto stretto anche con Cossiga. Qual è stato il motore della sua trasformazione, da politico compassato a picconatore?

Gli sembrò che i suoi amici, De Benedetti e Scalfari, da cui andava a pranzo tutte le settimane, avessero l’intenzione di farlo fuori. Che a occhio mi sembra esatto. I due furono gli autori degli articoli in cui si chiedeva che fosse sospeso dalle funzioni di Presidente della Repubblica, sostituito da una comitato di saggi, e ricoverato.

Su De Benedetti lei ha scritto un libro intervista…

Dopo il libro mi chiese se volevo rientrare a Repubblica. Ma dopo un po’ mi disse che c’erano dei problemi. Gli dissi: perché sono berlusconiano? Mi rispose “quello si supera, il guaio è che hai fatto la commissione Mitrokhin”. Mi indignai. Repubblica aveva scritto una serie incredibile di falsità su di me. Dicevano che mi fabbricavo i documenti in un ufficetto a Napoli.

Cazzullo ha scritto che la Mitrokhin metteva in imbarazzo tutti, post comunisti e neoputiniani.

Plausibile. Mi trovai con la commissione piena di comunisti, postcomunisti, paracomunisti. Ero praticamente solo. Scoprimmo un sacco di cose, che sono state tutte insabbiate. Non gliene è fregato niente a nessuno.

Il suo contrasto con Berlusconi, nel 2009, è derivato dal libro Mignottocrazia o dal legame del Cav. con Putin?

Per Putin. Invece Mignottocrazia lo dissi solo per dare un avvertimento a Berlusconi. C’era questo girovagare di sgallettate, anche a sinistra beninteso. Scrissi un libro-sberleffo. Non fu un atto di vendetta, fu un messaggio: “occhio o ti incastreranno”.

Qual è stata la maggiore difficoltà della destra berlusconiana?

Una volta dissi al Cav. “Con giornali, libri e Tv non possiamo creare un’alternativa alla sinistra”. Mi rispose: “le mie reti sono commerciali. Non puoi allontanare parte dei committenti con contenuti che li possono infastidire”.

Avere un’impresa implica il rispetto forzato del pluralismo…

Certo. Il Cav. ha ideali (liberalismo, socialismo democratico), ma da imprenditore non può fare quello che vuole.

E chiudiamo sulla sua vita personale. Nello spettacolo racconta di quando la perseguitavano per i capelli rossi…

Mi dicevano “Roscio malpelo schizza veleno”. Oppure: “A roscio passa domani che è moscio”. Mio padre mi insegnò a fare in modo che nessuno ti notasse. Mettere il cappello in testa in modo che non si vedessero i capelli. E’ anche divertente.

Viene da lì la sua capacità di calarsi in altre personalità?

Strategie mimetiche. Rifare le voci. Essere gli altri. Io sono un ventaglio di identità anche geografiche. Amo il nord, sono pazzo di Napoli, amo la Sicilia. Cerco di rifare il verso a tutti.

 

Fonte: ilgiornaleoff.ilgiornale.it

Articolo scritto da Bruno Giurato


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